Quand’è che un’opera d’arte non è un “ready-made”?
E’ di Duchamp il concetto che ogni oggetto d’uso quotidiano può essere dichiarato Arte dall’artista, quindi “detto-fatto” prima che qualsiasi intervento artistico renda libero il mondo degli oggetti, potenzialmente fino ad elevare ogni “cosa” del mondo allo stato di arte. Tale concetto è ormai ben compreso e accettato, ma non vi è un ulteriore spinta al “ready-made” dietro il Duchampiano ready-made, che è spesso suggerito dalle opere d’arte stesse ma di rado reso esplicito: tutte le opere sono sostanzialmente “dette-fatte”, indipendentemente da quanta intenzione l’artista abbia messo nella loro realizzazione.
Come il filosofo De Duve afferma: “il ready-made sta all’arte in generale come un tubetto di vernice sta alla pittura moderna”, il che implica che il ready-made è un nuovo mezzo artistico, ma suggerisce anche che, così come la somma totale di tutte le cose potrebbe essere effettivamente dichiarata un “ready-made” artistico, tutte le opere d’arte sono sostanzialmente un ready-made che aspettava di accadere.
L’Ultima Cena a 9 miliardi di Anni Luce dell’artista romano Vincenzo Ceccato espone esattamente una variazione sul tema dell’Arte e del ready-made.
Si tratta di 12 manichini seduti, androgini e abbigliati come in un B-Movie di fantascienza, sottoposti al bagliore di una luce ultravioletta, disposti come se stessero valutando freddamente un banchetto di fronte a loro, la loro “Ultima Cena”, in una scena parallela a quella di Cristo che ci viene chiesto di immaginare come se si stesse svolgendo a circa 9 miliardi di anni luce dalla terra, nel futuro, in un universo parallelo.
Facendo così riferimento alla teoria scientifica, Ceccato ci ricorda il legame tra i campi dell’Arte e della Scienza, un legame spesso dimenticato in quanto si presume che esista un immutabile divario tra l’apparentemente soggettivo reame dell’Arte e l’obiettivo regno della Scienza. In quest’opera, i due regni assumono adeguatamente il loro ruolo; la Scienza offre in apparenza la giustificazione della reale possibilità di un’Ultima Cena parallela tenuta da androgeni biondi ossigenati in un futuro remoto, mentre l’Arte ci fornisce l’equipaggiamento di fantasia necessaria a vedere concretamente questa scena, costruita da manichini, modificati con caschi, formati di plexiglas, tubi di luce ultravioletta, modelli di frutta e vernice color argento.
La cosa che è più eccezionale di questa scena è forse che, contrariamente alla chiara resistenza che la comunità scientifica potrebbe opporre, per il fatto che la scena presenta un vagare dell’immaginazione soggettiva che poco ha a che fare con il progresso scientifico, siamo messi di fronte -in quanto pubblico- alla possibilità di invocare una “realtà” che la Scienza non potrà mai effettivamente verificare, nonostante quello che essa presume di “conoscere”.
Siamo indotti a vedere questa Ultima Cena come reale, come un’opera ready-made, dove la cena in se stessa è la realtà oggettiva e attuale a cui il ready-made si riferisce: un compito reso più facile dall’effetto ipnotico che la luce ultravioletta ha sullo spettatore che, insieme con il silenzio della scena, trasforma il pubblico nell’astronauta dell’Explorer, che si intromette in un altro mondo, tanto sensuale quanto sterile. Superfici pulite e trasparenti in argento suggeriscono una sorta di trasgressione terrestre, una abile illusione, dato che il lavoro è in realtà fatto interamente dalla mano umana.
C’è un problematica nell’opera d’arte qui presentata in quanto essa si avvicina per somiglianza alla Religione contro cui si è lottato per liberarsene. Ci è forse chiesto un atto di fede nell’immaginare che la creazione di Vincenzo Ceccato sia reale?
Alla luce della superiorità dell’Arte sulla Scienza per la sua capacità di progettare nuove e improbabili realtà come immediate e reali, la Scienza potrebbe ribattere che non è altro che un gioco di prestigio: una sorta di illusione patinata perversa tanto quanto la scena di Ceccato. In questo caso, L’Ultima Cena a 9 miliardi di Anni Luce sarebbe lontana dalla realtà proprio come il suo nome suggerisce, usando l’artista per mettere in ridicolo la sua stessa arte in relazione alla Scienza come una sorella più povera.
Tuttavia, emettere una tale sentenza equivarrebbe a commettere un errore madornale sulla funzione dell’Arte: l’Arte si basa su un’illusione e, pertanto, la dichiarazione di Ceccato che questa scena – un possibile parallelo alla nostra visione dell’Ultima Cena è ‘Arte’ – è un dato di fatto (il fatto di essere “Arte” e quindi di essere come tale immaginato). In realtà, l’Arte ci mostra che il nostro sogno più grande – e i nostri risultati – sono proiezioni della fantasia umana.
Forse la cosa più rivelatoria in questo caso è che chiunque volesse sostenere la superiorità della Scienza sull’Arte si troverebbe a difendere la verità dell’Ultima Cena di Cristo al di sopra dell’immaginaria Ultima Cena che ci è presentata come se si verificasse a 9 miliardi di anni luce nel futuro. Indicando l’Ultima Cena come se si ritenesse che essa abbia avuto luogo realmente ai tempi di Gesù e sia perciò in contrapposizione con la controparte immaginaria presentata da Vincenzo Ceccato, si metterebbe chiaramente la Scienza in una posizione difficile. Su quale base si può assegnare un rango superiore a una serie di pensieri umani rispetto ad un’altra? Sicuramente o essi sono tutti reali o son tutti fallaci.
Ancora, non è quantomeno discutibile che non vi possa essere un mondo immaginato parallelo a quello immaginato quando raffiguriamo l’Ultima Cena di Cristo nel modo in cui è avvenuta circa 2000 anni fa? La realtà è che qui la Scienza avrebbe difficoltà a separare i fatti dalla finzione, risiedendo l’unica sua istanza in una riduzione di entrambe le Ultima Cene a meri impulsi chimici situati nel cervello delle persone, quando ”pensano”. La superiorità della produzione di Ceccato su un tale semplice calcolo è che egli espone un’occasione di riflessione per la costruzione di nuove realtà; il che non discrimina tra Scienza e Arte, ma funziona con entrambe le discipline, permettendo la nostra ulteriore comprensione.
L’Ultima Cena a 9 miliardi di Anni Luce fa riferimento alla Ultima cena di Leonardo da Vinci, e a Leonardo come uomo di Arte e di Scienza insieme. In Leonardo il tempo dell’Arte e quello della Scienza godono di una partnership chiara in quanto l’artista cercò di ricostruire il mondo e l’anatomia umana in modo da rendere possibile alla scienza una migliore interpretazione. L’Arte e la Scienza più tardi si discostarono l’una dall’altra poiché quest’ultima svelò sempre più livelli della realtà, allargandosi verso il regno del telescopico e del microscopico. Laddove la Scienza ha cercato l’obiettività completa, l’Arte si è ritirata verso il regno del soggettivo. Eppure, da allora è diventato chiaro che la Scienza non può fornire una singola risposta oggettiva a un determinato problema ma, piuttosto, molte risposte.
Il filosofo Meillassoux, punta di diamante di una nuova tendenza di pensiero, mira ad invertire la tendenza di Hume e Kant che per primi lavorarono all’indagine specialistica Illuminata, suggerendo che non si può supporre che la realtà ruoti attorno ad immutabili leggi fisiche; letteralmente qualsiasi cosa potrebbe accadere in qualsiasi momento, un pensiero che è del tutto in linea con le recenti scoperte della fisica quantistica.
Dato questo livello di incertezza è opportuno che l’Artista sia invitato ad utilizzare flessibilità e aiuti le Scienze ad immaginare nuove coraggiose realtà, poiché l’Artista non ha mai dato per scontato la realtà così come ci appare. Qui, Vincenzo Ceccato cerca di trovare la realtà e di portarla fino a noi!
L’ultima cena a 9 miliardi di anni luce
Installazione di Vincenzo Ceccato
RO.MI. Arte contemporanea, Roma
Inaugurazione: Giovedi 21 maggio, ore 19
RO.MI. Arte Contemporanea, Roma.
Vetulonia 55 – 00183 Roma